Ai fini dell’accertamento giudiziale relativo alla sussistenza del credito azionato tramite le ingiunzioni di pagamento emesse ai sensi del Regio Decreto 14 aprile 1910 n. 639 o gli accertamenti esecutivi emessi ai sensi dell’art. 1 comma 792, Legge n. 160/2019, sono irrilevanti i vizi formali dei predetti atti, nonché le irregolarità afferenti all’esperimento della procedura di riscossione.
Il principio sopra affermato può essere dedotto dalla qualificazione (i) delle azioni giudiziali avverso ai già menzionati atti di riscossione (ii) e da quella dei relativi procedimenti.
Più precisamente, per quanto attiene al primo profilo, si rimarca che esse debbono essere correttamente qualificate come azioni di accertamento negativo del credito; in ordine al secondo profilo– in rapporto di consequenzialità logica con il primo – va affermato che i procedimenti di opposizione costituiscono degli ordinari processi cognitivi[1] del tipo impugnazione-merito e non già degli speciali procedimenti di mera impugnazione-annullamento.
Da quanto sopra esposto deriva che l’accertamento del rapporto sostanziale costituisce un elemento indefettibile e che le sorti del relativo giudizio non possono dipendere (o quanto meno possono soltanto marginalmente e/o secondariamente dipendere) dalla presenza di eventuali vizi formali negli atti opposti o nella di procedura di riscossione.
A tali conclusioni giunge anche la chiara e costante giurisprudenza.
Ed invero, gli ermellini hanno affermato: per un verso, che al giudice è imposto un dovere di accertamento del rapporto sostanziale che deve essere espletato anche nel caso in cui sia stato:
- preventivamente accertato il difetto dei presupposti di legittimità per l’emissione dell’ingiunzione di cui al R.D. n 639/1910 (Cass. Civ. Sez. III, n. 2355/19);
- (ii) per altro verso, che sarebbe priva di interesse (ed ossia inammissibile ai sensi dell’art 100 c.p.c.) l’opposizione con la quale vengono spiegati soltanto motivi di impugnazione relativi al difetto di legittimità e/o ammissibilità della procedura di riscossione, ovvero ai vizi di regolarità formale dell’atto (Cass. Civ. Sez. Lav. n. 12674/2016[2]).
La giurisprudenza di merito è conforme a quella di legittimità, sia con riferimento alla già menzionata necessaria estensione del giudizio di opposizione all’accertamento sulla sussistenza della pretesa creditoria, persino nell’ipotesi in cui non vi fosse la relativa domanda di parte (Trib. Milano, Sez. I. 03/09/2019 n. 7962; Tribunale Roma, Sez. lav.10/11/2020, n. 7322), sia in merito all’inidoneità dei vizi formali degli atti o di quelli relativi al procedimento di riscossione ad incidere negativamente sulle vicende del credito. Più in dettaglio, è stato ritenuto irrilevante per la definizione del giudizio lo scrutinio riguardante: (i) i vizi formali dell’atto ed all’attitudine dello stesso a costituire titolo esecutivo (Trib. Oristano Sez. I, 29/12/2021 n. 693); (ii) la carenza di legittimazione attiva del concessionario nell’emissione dell’atto a fronte della contemporanea presenza degli elementi di prova inerenti alla sussistenza del credito (Trib. Milano, Sez. XI. 04/02/2016 n. 1599[3]).
[1]A ciò conduce anche il tenore letterale dell’art. 32 del D.lgs. n. 150/2011, applicabile anche all’opposizione avverso all’accertamento esecutivo in virtù di quanto previsto dall’art. 1, comma 792, lett. l), L. n. 160/19. Per quanto attiene alla domanda di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’atto, viene comunque concesso, nel predetto procedimento ordinario di cognizione, il rimedio di cui all’art. 5 del già citato D.lgs. n. 150/11.
[2] Si ritiene di puntualizzare che la carenza di interesse dell’azione fu riscontrata in un’ipotesi in cui l’ente creditore emise ex se l’ingiunzione di pagamento ai sensi del R.D. n 639/1910 e, per l’effetto, non venivano richieste spese ed aggravi che non sarebbero comunque stati dovuti nell’ipotesi di corretta emissione dell’ingiunzione di pagamento. Diversamente, analogamente a quanto accade alle spese di lite in sede di opposizione ad un decreto ingiuntivo emesso ai sensi degli artt. 633 e ss. c.p.c., se con gli atti di riscossione fossero richieste somme ulteriori quali, a titolo esemplificativo, i diritti di riscossione e/o l’aggio del concessionario, parrebbe così ragionevole ritenere che possa essere ammissibile l’azione con la quale venga richiesta la declaratoria di nullità di un’ingiunzione di cui al R.D. n 639/1910 o di un accertamento esecutivo di cui all’art 1, comma 792, della L. 160/19 e la conseguente domanda di accertamento negativo, non già dell’intero credito, bensì soltanto di tali ulteriori voci di credito accessorie rispetto al rapporto originario e, comunque, dovute solo per il caso di una corretta emissione dell’atto.
[3]A ben vedere le eccezioni rivolte al solo aspetto formale e che, comunque, non involgono la pretesa creditoria possono – come già esposto –condizionare l’esito del giudizio. Tuttavia, tale attitudine non può che qualificarsi come marginale e/o secondaria. Ed infatti, con la citata pronuncia venne dichiarata nulla un’ingiunzione di pagamento perché essa era stata emessa dal concessionario-gestore del servizio idrico integrato quale soggetto privato non abilitato alla riscossione mediante ingiunzione (poiché neppure iscritto all’albo dei soggetti privati abilitati alla liquidazione, accertamento e riscossione di cui all’art. 53 del D.lgs. n. 446/1997) ma, al contempo, la parte debitrice fu condannata al pagamento del credito vantato dall’ente così come provato dallo stesso nel giudizio di opposizione alla predetta ingiunzione.
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